Onorevoli Colleghi!

1.  Università e competitività dell'Italia.

      Nel nostro Paese, da ormai troppo tempo, vi è un generale senso di insoddisfazione per come il sistema accademico nazionale e le singole istituzioni universitarie sono governate. Un'insoddisfazione che deriva anche dal modo in cui, dal 1989 ad oggi, sono state realizzate le politiche dell'università, e in particolare quelle sull'autonomia.
      Troppo spesso il carattere pubblico dell'istituzione universitaria, che dovrebbe essere al servizio dell'interesse nazionale, dell'interesse degli studenti e delle famiglie, è stato confuso (attraverso un'operazione di vera e propria manipolazione ideologica) con la natura statale e burocratica delle strutture universitarie. Troppo spesso la missione autentica del sistema di formazione superiore, che coniuga al suo interno didattica e ricerca scientifica, è stata derubricata in tutela di baronati locali e di corporazioni intoccabili. Le sfide che l'università è chiamata ad affrontare in questi anni e in quelli a venire ormai le impongono di aprirsi al mondo esterno, di diventare più agile e competitiva, di adattarsi rapidamente ai mutamenti della società, senza per questo smarrire la sua missione iniziale.
      La qualità della formazione universitaria è una delle funzioni decisive della competitività dei sistemi economici nazionali, come del resto riconosciuto dall'Agenda di Lisbona, che punta a rendere entro il 2010 l'Europa l'area più competitiva del pianeta. In questa prospettiva, la

 

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stessa Unione europea chiede ai Governi nazionali un'inversione di rotta, ponendo tra gli obiettivi prioritari del processo di integrazione, da qui al traguardo del 2010, l'armonizzazione dei sistemi di istruzione e la creazione di un'area comune per la formazione superiore, che faciliti la mobilità dei membri della comunità accademica sul territorio dell'Unione.
      A pochi anni dalla scadenza abbiamo di fronte lo scenario sconfortante di istituzioni sottofinanziate, antiquate e superburocratizzate, che stanno penalizzando le generazioni di oggi e rischiano di rovinare le generazioni future; istituzioni che producono pochi laureati e spesso con competenze sorpassate, la cui formazione personale non trova corrispondenza con le esigenze del mondo del lavoro. Il modello da perseguire deve essere in grado di coniugare competitività, alto livello nella qualità degli studi, flessibilità e attenzione alle esigenze del mercato. Si impone perciò un radicale ripensamento. L'indispensabile contributo che l'università deve fornire all'interesse della nazione, la sua funzione sociale, deve essere perseguito attraverso la via della concorrenza, che garantisca ai migliori di emergere, indipendentemente dalla loro condizione economica, e agli atenei italiani di reggere il confronto sul mercato della formazione culturale che, anch'esso, si è globalizzato.
      In Italia ogni tentativo di riforma è stato boicottato da un sistema nel quale ad avere la meglio sono stati interessi corporativi e antiquati ideologismi. Continua ad essere completamente assente dall'agenda politica di questo Governo un dibattito strategico sul futuro dell'università; si tenta invano di dare risposte parziali e unidirezionali a problemi sistemici. Mentre è giunta l'ora di cambiare rotta.

2.  I princìpi ispiratori di un'università di qualità.

      È dunque necessario un ripensamento complessivo dell'università. Essa deve ispirarsi ad alcuni princìpi imprescindibili, se si vuole realizzare un'università di qualità:

          a) il riconoscimento dell'autonomia dell'attività di insegnamento e della libertà di ricerca non può significare la feudalizzazione del sistema e tanto meno il consolidamento di logiche corporative autoreferenziali;

          b) la libera scelta del percorso formativo da parte degli studenti deve essere coniugata con la necessaria consapevolezza delle esigenze del sistema economico e delle possibilità occupazionali del mondo del lavoro. Occorre sviluppare la necessaria attenzione alle esigenze del sistema economico e del mercato del lavoro, per non creare uno stuolo di eccellenti laureati disoccupati;

          c) il diritto allo studio deve perdere ogni connotazione di carattere assistenziale per diventare un efficace meccanismo di promozione dell'eccellenza e di una sana competizione fra gli studenti, influenzata il meno possibile dalle diverse condizioni economiche di partenza;

          d) i soggetti che svolgono le funzioni proprie dell'università - offerta formativa e ricerca scientifica - devono essere posti in grado di competere su un piano di parità. Lo Stato deve garantire un'adeguata attività di valutazione dell'operato delle istituzioni universitarie secondo criteri oggettivi di efficacia ed efficienza.

      Vanno, infine, garantite trasparenza e meritocrazia nel sistema di arruolamento della docenza, due princìpi troppo spesso sacrificati alle logiche del potere accademico e dei potentati locali.

3.  Concorrenza al ribasso o concorrenza per la qualità?

      Per garantire un sistema che valorizzi e faccia propri questi princìpi, che sono alla base di un'università di qualità, è necessario intervenire su alcuni snodi decisivi. Col sistema attuale, in cui tutti i diplomi sono uguali tra loro e ciò che premia è

 

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quindi la facilità con cui acquisirli, si è creato un meccanismo di concorrenza al ribasso, piuttosto che di eccellenza, in cui non contano i meriti, non contano le competenze acquisite, ma a contare è solo l'uguaglianza dei risultati. L'individuo così scompare di fronte al numero indistinto. E la sua libertà di scelta è dettata solo da motivazioni logistiche e contingenti e non da un vero e proprio investimento per il futuro.
      L'unico modo per spezzare questo meccanismo, per avviare una virtuosa spirale di competizione per la qualità è l'abolizione del valore legale del titolo di studio. La presente proposta di legge la prevede come obiettivo di medio termine, da realizzare entro tre anni dalla data della sua entrata in vigore.
      Questo ambizioso obiettivo potrebbe però diventare velleitario se non si inserisse in un sistema già rinnovato e consolidato, orientato ad una competizione di qualità. Proprio per questo sono stati messi in preventivo almeno tre anni durante i quali attuare una riforma graduale del sistema. Tre anni in cui preparare le università a correre con un altro passo, all'interno di un sistema che, liberatosi del valore legale del titolo, le obbliga ad adattarsi alla competizione, istituendo i corsi migliori, che garantiscano il più possibile uno sbocco lavorativo; ad assumere professori più preparati, più attenti alle dinamiche sociali, più attaccati alla missione che devono svolgere; a dotarsi di strutture amministrative più efficienti ed economicamente sostenibili.

4. La valutazione.

      Non vi è dubbio che una competizione virtuosa nell'offerta della formazione universitaria debba necessariamente basarsi, in particolar modo sino a che il diploma di laurea manterrà valore legale, su un efficiente sistema di valutazione della qualità. Parlare di valutazione significa cambiare la prospettiva con cui fino ad oggi è stata intesa l'università; significa restituire agli atenei la loro responsabilità istituzionale, mettendo in gioco le loro reali capacità.
      La presente proposta di legge intende offrire un quadro normativo di riferimento in grado di avviare il processo di modernizzazione del sistema universitario italiano, innanzi tutto prevedendo un rigoroso sistema di valutazione dell'attività delle singole università, quindi realizzando nel concreto e appieno quella autonomia (finanziaria, didattica e gestionale) rimasta per anni solo sulla carta.
      Una valutazione della qualità deve essere compiuta sin dalla fase di avvio dell'attività delle università. È pertanto previsto che ogni istituto universitario debba essere accreditato dal Ministero sulla base di alcuni parametri di carattere oggettivo: le esigenze del territorio in cui operano o dovranno operare le università (per evitare che vi sia un'inutile concentrazione di strutture già sovrabbondanti o, al contrario, la nascita di altrettanto insignificanti cattedrali nel deserto), le capacità di autofinanziamento (incentivando così gli atenei a creare rapporti quanto più stretti con le istituzioni locali e con il mondo dell'imprenditoria privata), l'adeguatezza dei corsi di laurea rispetto agli obiettivi formativi, la composizione del corpo docente nonché l'idoneità tecnica delle strutture universitarie.
      L'attività di valutazione deve inoltre riguardare la qualità dell'attività delle università accreditate, verificando il livello raggiunto dai singoli atenei dal punto di vista della didattica e della ricerca, del grado di specializzazione e di eccellenza. A tal fine occorre che sia tenuto nell'adeguata considerazione il rapporto che ciascun ateneo è in grado di sviluppare con il sistema produttivo e con il mercato del lavoro, che in parole povere significa tenere sotto controllo le reali possibilità occupazionali dei giovani laureati, la rilevanza internazionale degli atenei e dei progetti di ricerca, l'adeguatezza organizzativa delle strutture, nonché la qualità dei servizi.
      Tale complessa attività di valutazione dovrebbe condurre, sulla base di criteri oggettivi predeterminati, ad una ripartizione

 

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delle università per fasce di merito, anche al fine dell'erogazione dei finanziamenti pubblici. In tal modo anche nel nostro Paese prenderebbe piede una reale competizione tra università, mettendo definitivamente in soffitta il totem dell'uguaglianza, formale e sostanziale, fra tutti gli atenei.

5. L'autonomia didattica e di ricerca.

      Se è vero che per legge le università godono di autonomia funzionale, didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, che espletano attraverso statuti e regolamenti, nei fatti tutta questa autonomia sembra essere lettera morta. Come se non bastasse, una malintesa accezione dell'autonomia sta conducendo il sistema verso esiti paradossali, per i quali la competizione fra università si esercita per lo più nella definizione fantasiosa di corsi di laurea e di piani di studio.
      Secondo la presente proposta di legge, spetta al Governo la fissazione dei criteri per l'apertura di nuovi corsi di laurea, nonché l'individuazione degli esami fondamentali di ciascun corso. Ogni ateneo sarà, invece, autonomo nella definizione dell'ordinamento dei corsi di studio universitari per quanto attiene alla suddivisione delle attività didattiche di base, specialistiche, di perfezionamento scientifico, di alta formazione permanente e ricorrente; alla fissazione dei requisiti di ammissione ai corsi; alla definizione di strumenti per garantire l'informazione e l'orientamento nonché la mobilità degli studenti. Spetta sempre alle università, nell'ambito dell'attività di ricerca, garantire l'autonomia nella determinazione e nella realizzazione dei progetti di ricerca.

6. L'autonomia gestionale.

      In un contesto di libera competizione fra le strutture universitarie assume importanza decisiva il riconoscimento di una piena autonomia gestionale, all'interno di un quadro minimale di regole, dirette essenzialmente ad evitare che un'eccessiva rappresentanza delle corporazioni interne ostacoli la capacità delle università di rispondere agli stimoli esterni. A tal fine è necessario eliminare vincoli troppo restrittivi, per concedere alle università autonomia reale e piena responsabilità. Si devono perciò spezzare le logiche dell'autogoverno fondato sul principio della rappresentanza democratico-corporativa e adottare meccanismi di governance più snelli e agili, più imprenditoriali, in grado di far fronte alle nuove sfide dell'università: gestire i grandi numeri legati alla domanda di istruzione crescente (domanda/offerta), riqualificarsi sul piano della formazione e della ricerca (qualità), internazionalizzarsi (competizione). A tal fine la proposta di legge definisce gli organi di governo dell'università e fissa i parametri di riferimento entro cui ogni statuto deve orientarsi per regolamentare funzioni e competenze; stabilisce inoltre una gerarchia degli organi di governo, che corrisponde ad una differenziazione tra le competenze di natura culturale e scientifica e quelle amministrative.

7. Parità fra pubblico e privato.

      Un tassello fondamentale per il funzionamento di un sistema universitario aperto e concorrenziale è la parità delle condizioni finanziarie delle strutture pubbliche e private che erogano servizi di formazione universitaria. Occorre superare l'erronea convinzione che la natura pubblica di un servizio (nella fattispecie la formazione superiore) presupponga la natura statale dei soggetti erogatori. L'attuale assetto vede la dominanza delle università statali, lasciando alle strutture private spazi residuali normalmente utilizzati per la creazione di aree di eccellenza ma anche di privilegio sociale. Secondo un classico paradigma di eterogenesi dei fini, l'approccio statalista-egualitario, che caratterizza il nostro sistema universitario, si traduce in un formidabile strumento di tutela dell'ordine sociale costituito, riservando solo agli studenti provenienti dalle

 

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classi sociali più agiate la possibilità di accedere ai servizi universitari più qualificati.
      Nella presente proposta di legge la parità fra pubblico e privato nel settore universitario viene perseguita attraverso due meccanismi. Da un lato si prevede che i finanziamenti pubblici per l'attività didattica siano ripartiti non in funzione della natura pubblica o privata dell'università bensì in funzione di alcuni parametri di qualità del servizio (tra gli altri, il numero degli iscritti e i criteri di ammissione degli studenti; il tempo di primo impiego dei neolaureati e l'efficacia occupazionale dei titoli; la rilevanza internazionale degli atenei e l'adeguatezza quantitativa e qualitativa del personale e delle strutture).
      Oltre a prevedere l'accesso paritario delle università private ai finanziamenti pubblici per le attività didattiche, si interviene anche sull'autonomia universitaria nella determinazione delle rette di iscrizione a carico degli studenti. A tal fine si prevede che ciascuna università fissi le rette di iscrizione all'interno dei valori minimo e massimo stabiliti con decreto del Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. L'obiettivo è quello di consentire a tutti gli studenti l'iscrizione a quelle università private che accedano ai finanziamenti pubblici per le attività didattiche. Naturalmente, nel rispetto di una visione liberale dell'organizzazione sociale, si prevede comunque la possibilità per le università che non ricevano finanziamenti pubblici di fissare liberamente le rette di iscrizione degli studenti.
      È inoltre prevista la possibilità di ridurre le rette di iscrizione per alcuni corsi di laurea, al fine di promuovere la formazione di laureati in settori ritenuti particolarmente strategici per lo sviluppo del sistema economico del Paese.
      La presente proposta di legge prevede altresì alcuni interventi diretti ad incentivare l'erogazione di finanziamenti privati alle attività universitarie, prevedendo in particolare da un lato un regime di fiscalità agevolata e dall'altro un coinvolgimento attivo dei soggetti finanziatori nelle attività di governo delle università.

8.  Autonomia universitaria e non autogoverno corporativo.

      Il sistema delineato nella proposta di legge si caratterizza per il riconoscimento di un'ampia autonomia universitaria, da esercitare all'interno di un quadro di regole chiare e di precise imputazioni di funzioni fra i diversi soggetti coinvolti. In questa prospettiva, appare del tutto controindicata la creazione di organismi fintamente indipendenti, di autorithies o agenzie che rischiano unicamente di offuscare il riparto di responsabilità. È pertanto assolutamente opportuno che le funzioni di indirizzo generale del sistema universitario appartengano alla sfera della politica e siano quindi esercitate dal Governo tramite il Ministro dell'università e della ricerca. Spetta al Ministro svolgere le funzioni di accreditamento e di valutazione delle politiche di istruzione superiore nazionali e delle performance universitarie (nella didattica e nella ricerca), sulla base di parametri predeterminati.
      Per evitare che si producano fenomeni di scollamento tra la decisione politica (che è opportuno rimanga tale) e la realtà universitaria si prevede l'istituzione di un'Alta commissione per la qualità del sistema universitario, una sorta di comitato di garanzia, scelto secondo criteri di eccellenza dal Governo, dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) e dalla Conferenza dei presidenti delle regioni. Tale Alta commissione svolge funzioni di consulenza al Ministro nell'esercizio dei suoi delicati compiti istituzionali, esprimendo pareri sulle procedure di accreditamento, di valutazione e di ripartizione dei fondi. L'Alta commissione, inoltre, verifica lo stato del sistema universitario, esercitando funzioni di studio, di analisi e di proposta in tutte le materie che attengono alla qualità della formazione e della ricerca universitaria. A tal fine si prevede che l'Alta commissione

 

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presenti annualmente al Governo una relazione sulla qualità del sistema universitario.

9.  Il diritto allo studio, la selezione e la meritocrazia.

      Il diritto alla libera scelta del proprio corso di studi, principio cardine di un sistema formativo liberale, richiede alcuni interventi in grado di garantirne l'effettività. Un reale diritto allo studio presuppone, evidentemente, meccanismi diretti a orientare la scelta degli studenti verso gli sbocchi che offrono maggiori potenzialità professionali, ad assicurare un adeguato livello culturale di quanti si iscrivono all'università e a garantire agli studenti meritevoli e meno abbienti il sostentamento durante il corso degli studi universitari. L'assenza di tali meccanismi è alla base dell'attuale paradosso italiano che vede da un canto uno stato di cronico sovraffollamento di alcune facoltà e dall'altro un numero di giovani laureati esiguo, se confrontato con quello dei nostri competitori stranieri. Questa situazione, in fin dei conti, determina un preoccupante abbassamento del livello complessivo della formazione universitaria italiana, fino al punto da derubricare il diritto allo studio nel suo esatto contrario, ovvero nell'impossibilità (sostanziale) di ricevere una formazione superiore adeguata ed utile per l'inserimento nel mondo del lavoro.
      Per queste ragioni ogni ateneo deve essere in grado di valutare le attitudini e le conoscenze degli studenti all'ingresso dei vari livelli della formazione universitaria. E, per raggiungere questo obiettivo, è necessario predisporre un meccanismo che condizioni l'iscrizione alla verifica di requisiti minimi di idoneità culturale, alla disponibilità di risorse adeguate da parte degli atenei, oltre che alle reali esigenze del mercato del lavoro e del sistema produttivo. Ciò consentirebbe di selezionare senza discriminare, seguendo un criterio di valutazione rigorosamente oggettivo.
      Questo tipo di selezione non può però precludere agli studenti la possibilità di sostenere contemporaneamente le prove di accesso in diverse università. Per questo è necessario differenziare le date dei test di ammissione in modo da incentivare e consentire la scelta fra le università in cui si è superata la selezione.
      Occorre introdurre un sistema di borse di studio e di prestiti d'onore, che possano essere utilizzati in tutte le università, dando finalmente attuazione all'articolo 34 della Costituzione. L'intento di lungo periodo è quello di raggiungere gradualmente la trasformazione del finanziamento pubblico alle università in finanziamento del diritto allo studio. Messo a regime un simile sistema, le università non dovrebbero più ricevere dallo Stato alcun finanziamento ordinario per la didattica, che al contrario sarebbe finanziata interamente con le tasse d'iscrizione degli studenti, per una parte a carico delle famiglie e degli studenti e per un'altra coperte finanziariamente dallo Stato.
      Le borse di studio, la cui entità può arrivare a coprire l'intero costo degli studi (iscrizione e mantenimento), devono essere destinate agli studenti migliori ma privi di mezzi. I prestiti rappresentano invece il meccanismo utilizzabile dalla grande maggioranza degli studenti meritevoli che abbiano comunque un reddito familiare insufficiente a sostenere l'intero costo della propria istruzione (incluso il mantenimento): il tetto del prestito potrà variare a seconda dei costi. Chi ha beneficiato del prestito dovrà restituirlo raggiunta una certa soglia di reddito personale. Se tale reddito non dovesse essere raggiunto entro trent'anni dall'erogazione del beneficio, si provvederebbe alla completa cancellazione del debito.
      Questa tipologia di finanziamento permette alle università di incrementare il proprio finanziamento complessivo, con una contrazione della spesa a carico dello Stato e senza gravare sulla fiscalità generale. Permette, inoltre, di migliorare l'equità sociale nella distribuzione dei costi dell'università, potenziando il diritto allo studio e rimuovendo tutti gli ostacoli finanziari (compreso il costo del mantenimento) per gli studenti meritevoli. In questo

 

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modo gli studenti, grazie ad un mercato dell'istruzione libero e concorrenziale, potrebbero scegliere l'università migliore, favorendo un'autentica competizione tra gli atenei.

10.  La trasparenza degli incarichi di docenza.

      Dal lato della docenza occorre ripristinare, con gradualità e senza modificare lo status giuridico dei docenti di ruolo, il diritto di ciascuna facoltà di poter liberamente scegliere i propri docenti tra quanti sono abilitati. Ciò consentirà di eliminare progressivamente il meccanismo degli attuali concorsi, restituendo alle università la responsabilità della scelta del proprio corpo di insegnanti che, in regime di concorrenza, verrà selezionato il più possibile in base al merito e alle specifiche esigenze dell'ateneo.
      L'idoneità alla docenza, conseguita per singole discipline scientifiche, si ottiene a livello nazionale sulla base della valutazione dei titoli scientifici dei candidati e delle attitudini alla didattica. Qualora si tratti di soggetti di altissima qualificazione e di chiara fama scientifica o professionale, può essere conferita anche senza prove.
      Le commissioni preposte alla selezione sono costituite da docenti di ruolo nelle università italiane, abilitati in quella disciplina specifica. I componenti della commissione - incaricati per quattro anni e non rinnovabili nel loro ruolo - sono nominati attraverso sorteggio fra coloro che sono stati eletti in una votazione di ambito nazionale su base uninominale. Il numero degli eletti tra i quali verrà effettuato il sorteggio sarà di tre volte superiore al numero di commissari da nominare.
      Le commissioni così istituite a livello nazionale stileranno almeno una volta all'anno un elenco di candidati idonei alla docenza (con il dettaglio della valutazione dei titoli) da cui le facoltà possono liberamente attingere per le chiamate. Ad ulteriore rafforzamento della trasparenza delle procedure concorsuali, si prevede che le idoneità alla docenza debbano essere approvate dalle commissioni di concorso con una maggioranza di due terzi dei componenti.
      Gli idonei chiamati alla docenza sottoscrivono contratti individuali con le università, le quali possono definire meccanismi retributivi premiali per i docenti che si siano dimostrati più efficaci nella didattica o nella ricerca. In tal modo, i criteri del merito e della concorrenza, oltre a governare il rapporto tra diversi atenei, potranno valere anche all'interno di ogni singola università per stimolarne la crescita e il miglioramento.
      È ormai poco più di un luogo comune il concetto per il quale nessun Paese possa immaginare un futuro di sviluppo materiale e civile senza puntare su un sistema d'istruzione superiore aperto e competitivo. E la circostanza per la quale nessun Paese economicamente sviluppato possa sopravvivere a due lustri di università scadente rappresenta, purtroppo, l'altra faccia della stessa verità. Negli ultimi cinque anni negli atenei qualcosa si è mosso. Si è trattato però solo di un inizio cui va dato seguito senza più perdere del tempo prezioso.

 

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